A poche ore dal nostro rientro dall'Ucraina, una riflessione sulla situazione attuale del Paese: percezioni, sensazioni, speranze. Ciò che abbiamo fatto, ciò che abbiamo visto, ciò che ci piacerebbe continuare a poter fare.
Apro la finestra, il temporale sembra sovrastarmi. Guardo lontano, oltre le montagne, e vedo quello che tutti possiamo osservare ogni santo giorno: guerre, tensioni, soprusi, minacce, consumo becero della terra. Cose arcinote, purtroppo. Vien voglia di oltrepassare lo scroscio d’acqua violento – questa estate sembra che le montagne cadano a pezzi -, assimilarne il profumo piovasco, abbracciare tutti i larici del mondo, salire sul classico cocuzzolo e abbandonarsi al pessimismo cosmico.
Invece no. Grazie all’energia di un gruppo di volontari composto da semplici cittadini, amici lontani ma sempre vicini, intrepidi cultori di un’utopia concreta fatta di azioni che si possono toccare con mano, eccoci in Ucraina, in prossimità del monastero di Sambir a portare un van carico di medicinali e materie di prima necessità. Sei sono i volontari che viaggiano guidando due van, uno da destinare al monastero, l’altro per tornare in Italia. Un viaggio lungo più di tremila chilometri tra andata e ritorno, compiuto in meno di quattro giorni.
Prima della partenza associazioni e onlus con le quali siamo in contatto, tra tutte Hesperia Bimbi onlus e l’associazione ‘Tutti insieme con gioia’ si sono date da fare per caricare i due van all’inverosimile. Ed ecco che gli scatoloni pieni di medicinali, la maggior parte di tipo pediatrico, generi alimentari, prodotti per la cura della persona, antiparassitari, stipano i due mezzi lasciando uno spazio minimo alle persone che affrontano il viaggio. Un saluto veloce qui a Corvara e poi via lungo Austria, Cechia, Polonia fino al confine ucraino di Korczowa-Kratovets nell’Oblast di Leopoli.
I pensieri si fanno fitti come le spighe del grano che solleticano i campi. Siamo in una zona di guerra e le nuvole sembrano scomparse. Il caldo è opprimente e la guerra lontana. Si fa in fretta a dimenticare, presi come siamo dalle nostre patetiche tribolazioni. Forse fra poco più di un mese, a cent’anni esatti dalla marcia su Roma, il nostro Paese sarà in mano di nuovo ai cultori dell’Eia Eia Alalà. Irresistibile è il richiamo del cocuzzolo. Invece no, gli amici in viaggio mi tengono con i piedi per terra. Le chiavi del van adesso sono nelle mani dell’abate Alessandro ed è già tempo di tornare indietro. Aiuti umanitari in piccole dosi, grazie a piccole azioni. Questo è quello che possiamo fare come Fondazione per cercare di limitare ogni possibile interferenza, sappiamo di che pasta è fatto l’uomo, andando di persona sul posto. E poi accada quello che deve accadere, in ogni caso un medicinale verrà usato da una persona che ne ha bisogno.
Stiamo già pensando alle prossime azioni, sostenuti da un’energia che valica le montagne e ci permette di essere in contatto con persone vive, vere, instancabili e positive. La solidarietà fra donne e uomini è quello che ci nutre. Ed è proprio così, come scrive la poetessa ucraina Lina Kostenko, "per chi ha le ali, il suolo non serve, se non c’è terra, ci sarà il sole".
Un giulan a tutti gli amici della Fondazione che ci stanno sostenendo e aiutando.
Avrete presto nostre notizie.