Il dolore degli altri (non) è sempre dolore a metà. La smisurata preghiera (e accorato appello) di Francesca Costantini - Responsabile Progetti Internazionali di “Insieme si può…” - per la costruzione del dormitorio di Kasimeri in Uganda. Il racconto di un viaggio che parte dal cuore e arriva al cuore.
“Il dolore degli altri è sempre dolore a metà” cantava De André.
In Uganda, terra di grandi contraddizioni, sembra al contempo impossibile e ovvio che le cose stiano così: anche se spesso la miseria che mi circonda mi sconvolge, cruda e brutale, impregnando l’aria col suo odore rancido e acido, questa terra mi risulta già così familiare che a tratti mi sento quasi “abituata” alle sue povertà. Mi trovo così davanti a uno strano contrasto interiore, e si risveglia il ricordo di una preghiera della Teologia della Liberazione ascoltata in America Latina qualche anno fa. “Signore perdonami perché oggi il mio cuore non si è commosso davanti a un bambino che aveva fame”.
Visitare scuole come quella di Kasimeri (a Moroto, in una regione estremamente povera del Nord dell’Uganda chiamata Karamoja) mi fa bene, perché mi ferisce il cuore, mi torna a far commuovere, e mi ricorda perché sono qui da oltre 3 anni, cercando di fare del mio meglio nella costruzione di un mondo migliore.
A Kasimeri vivono circa 800 degli oltre 1.700 bambini che frequentano la scuola. Mentre per le bambine è stato da poco ricostruito un dormitorio, sono circa 450 i bambini costretti a vivere in una vera e propria topaia. Accompagno gli amici di Costa Family Foundation a vederla con i loro occhi, perché non c’è racconto che possa rendere l’idea, e perché come ISP vorremmo proporre loro di scegliere come prossimo progetto da realizzare insieme la ristrutturazione di questi spazi.
Davanti all’angoscia per quello che ci troviamo davanti, mi tornano in mente questi versi, dettati dal mio cuore ferito durante il primo mese di vita in Uganda e la mia prima visita in Karamoja:
Oggi ho pianto
un pianto senza lacrime.
Le hanno versate per me
i loro occhi,
profondi come la notte.
Ricchi nel loro amore,
coperti di mosche e stracci,
accolgono me
nuda
nella mia ricchissima miseria.
L’idea di un bambino che ha come unico spazio suo, intimo, protetto, la metà di un materasso buttato in terra e condiviso con un altro bambino, con qualche topolino, e con molti scarafaggi, non può davvero lasciare indifferenti. L’idea di 450 bambini che vivono così, non può che scuotere il cuore. Non riesco a smettere di chiedermi il senso di tanto dolore. Non ho risposte, ma decido di concedermi di provarlo: mi permetto di vivere questa sofferenza, lasciando che il dolore altrui diventi mio fino in fondo, e non solo a metà.
Nel cuore commosso e ferito nasce così un unico pensiero, sincero e profondo: “Farò del mio meglio per contribuire ad offrire a ciascuno di questi bambini uno spazio dignitoso. E varrà la pena (anzi, come mi suggerisce una cara amica, varrà la gioia!) di ogni sforzo, di ogni granello di impegno e di fatica”.
Al momento, un dormitorio dignitoso per Kasimeri e per i suoi bimbi è un sogno, ma guardo i miei compagni di viaggio negli occhi. La mia convinzione è la loro, e quando si sogna insieme è l’inizio di una nuova realtà.